All’udire il racconto del fatto, cui, per la qualità del narratore, non potevo non prestare fede, tutte le mie resistenze si dissolsero e crollarono. Dapprima mi provai a distogliere lo stesso Firmino da quel morboso interesse. Gli feci rilevare come nell’esame fatto delle sue costellazioni, per potergli predire la verità avrei dovuto scorgere quanto meno la posizione eminente dei genitori nel parentado, la nobiltà della famiglia al suo paese, i natali onesti, l’educazione onorevole e l’istruzione da uomo libero che aveva ricevuto. Consultato invece dallo schiavo in base alle medesime costellazioni, valide anche per lui, ora avrei dovuto scorgervi, per rivelare a lui pure la verità, una famiglia di condizione infima, lo stato servile e ogni altro elemento ben diverso e lontano dai precedenti. Sarebbe allora accaduto che con le medesime osservazioni avrei dovuto dare risposte diverse per rispondere il vero, mentre, se avessi dato risposte uguali, avrei risposto il falso. Una conclusione al tutto certa s’imponeva: i responsi veritieri ricavati dall’osservazione delle costellazioni non derivano dall’arte, ma dalla sorte; i falsi non da ignoranza dell’arte, ma da inganno della sorte.

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