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Io allora, misero, amavo soffrire e cercavo occasioni di sofferenza. Nelle afflizioni altrui, e sia pure le afflizioni fittizie di un mimo, il gesto del commediante mi piaceva e attraeva tanto più violentemente, quante più lacrime mi strappava. E che c’è di strano, se, pecora infelice, errabonda lontano dal tuo gregge e insofferente della tua sorveglianza , un’orrenda scabbia mi deturpava ? Di qui il mio amore per il dolore, non già tale da incidere troppo profondamente nel mio animo, perché non amavo patire le pene che amavo contemplare; ma da graffiarmi, per così dire, la pelle in superficie all’ascolto e alla vista di una finzione. Senonché, come avviene al grattare delle unghie, ne seguivano gonfiori brucianti, e infezioni e un orrendo marciume. Ma quella vita era vita, Dio mio?

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