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Ma ora quanto più amavo i due giovani ascoltando gli slanci salutari con cui ti avevano affidato la loro intera guarigione, tanto più mi trovavo detestabile al loro confronto e mi odiavo. Molti anni della mia vita si erano perduti con me, forse dodici da quello in cui, diciannovenne, leggendo l’Ortensio di Cicerone mi ero sentito spingere allo studio della sapienza ; e ancora rinviavo il momento di dedicarmi, nel disprezzo della felicità terrena, all’indagine di quell’altra, la cui non dirò scoperta, ma pur semplice ricerca si doveva anteporre persino alla scoperta di tesori, di regni terreni e ai piaceri fisici, che affluivano a un mio cenno da ogni dove. Eppure da giovinetto, ben misero, sì, misero proprio sulla soglia della giovinezza, ti avevo pur chiesto la castità. “Dammi, ti dissi, la castità e la continenza, ma non ora”, per timore che, esaudendomi presto, presto mi avresti guarito dalla malattia della concupiscenza, che preferivo saziare, anziché estinguere. Mi ero così incamminato per le vie cattive di una superstizione sacrilega, senza esserne sicuro, è vero, ma comunque anteponendola alle altre dottrine, che invece di indagare devotamente, combattevo ostilmente.

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