trit_Confessiones_ VIII322_243
Ebbene, ora narrerò come tu mi abbia liberato dalla catena del desiderio dell’unione carnale, che mi teneva legato così strettamente, e dalla schiavitù degli affari secolari. Confesserò il tuo nome, Signore, mio soccorritore e mio redentore. Svolgevo la solita attività, ma con ansia crescente. Ogni giorno sospiravo verso di te e nel tempo esente dal peso degli affari, sotto cui gemevo, frequentavo la tua chiesa. Con me era Alipio, che, libero dagli impegni di legale dopo essere stato assessore a tre riprese, stava aspettando qualcuno, cui vendere ancora pareri come io vendevo l’arte del dire, se pure la si può fornire con l’insegnamento. Quanto a Nebridio, cedendo alle sollecitazioni di noi amici, era divenuto assistente di Verecondo, un maestro di scuola, cittadino milanese, intimo di noi tutti. Verecondo desiderava vivamente, e ce ne richiese in nome dell’amicizia, di avere dal nostro gruppo quell’aiuto fedele, di cui troppo mancava. Nebridio perciò non vi fu attratto dalla brama dei vantaggi, che, se soltanto voleva, poteva ricavare più abbondanti dalla sua cultura letteraria, bensì, da amico soavissimo e arrendevolissimo qual era, per obbligazione di affetto non volle respingere la nostra richiesta. Disimpegnò l’incarico evitando con molta saggezza di farsi notare dai grandi di questo mondo, così scansando ogni inquietudine interiore che poteva venirgli da quella parte. Voleva conservare lo spirito libero da occupazioni quante più ore poteva, per attendere a qualche ricerca, fare qualche lettura o sentir parlare della sapienza.