Così il bagaglio del secolo mi opprimeva piacevolmente, come capita nei sogni. I miei pensieri, le riflessioni su di te somigliavano agli sforzi di un uomo, che nonostante l’intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore. E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e, per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l’ora di alzarsi; così io ero sì persuaso della convenienza di concedermi al tuo amore, anziché cedere alla mia passione; ma se l’uno mi piaceva e vinceva, l’altro mi attraeva e avvinceva. Non sapevo cosa rispondere a queste tue parole: “Lèvati, tu che dormi, risorgi dai morti, e Cristo t’illuminerà”; dovunque facevi brillare ai miei occhi la verità delle tue parole, ma io, pur convinto della loro verità, non sapevo affatto cosa rispondere, se non, al più, qualche frase lenta e sonnolenta: “Fra breve”, “Ecco, fra breve”, “Attendi un pochino”. Però quei “breve” e “breve” non avevano breve durata, e quell'”attendi un pochino” andava per le lunghe. Invano mi compiacevo della tua legge secondo l’uomo interiore, quando nelle mie membra un’altra legge lottava contro la legge del mio spirito e mi traeva prigioniero sotto la legge del peccato insita nelle mie membra. Questa legge del peccato è la forza dell’abitudine, che trascina e trattiene l’anima anche suo malgrado in una soggezione meritata, poiché vi cade di sua volontà. Chi avrebbe potuto liberarmi, nella mia condizione miserevole, da questo corpo mortale, se non la tua grazia per mezzo di Gesù Cristo signore nostro ?

Clic per vedere traduzione  trlat_Confessiones_ VIII321_202
Powered by Inline Related Posts