trit_Confessiones_ VII293_449

Così, mio soccorritore, mi avevi liberato da questi ceppi. Ora ricercavo l’origine del male, senza esito. Non permettevi però che le burrasche del pensiero mi strappassero mai alla fede. Credevo alla tua esistenza, all’immutabilità della tua sostanza, al tuo governo sugli uomini, alla tua giustizia; che in Cristo, tuo figlio, signore nostro, nonché nelle Sacre Scritture garantite dall’autorità della tua Chiesa cattolica fu da te riposta per l’umanità la via della salvezza verso quella vita, che ha inizio dopo questa morte. Assicurati e consolidati saldamente nel mio animo questi princìpi, ricercavo febbrilmente quale fosse l’origine del male. Che doglie per questo parto del mio cuore, che gemiti, Dio mio! E lì a mia insaputa eri tu ad ascoltarli. Quando, tacito, mi tendevo nello sforzo della ricerca, erano alte le grida che salivano verso la tua misericordia, i silenziosi spasimi del mio spirito. Tu conoscevi la mia sofferenza, degli uomini nessuno. Una ben piccola parte del tormento la mia lingua riversava nelle orecchie dei miei amici più stretti. Ma sentivano mai tutto intero il tumulto del mio spirito, se non mi bastava né il tempo né le parole per esprimerlo? Giungeva però intero al tuo udito il ruggito del mio cuore gemebondo; davanti a te stava il mio desiderio, il lume dei miei occhi non era con me. Era dentro di me, ma io fuori; non era in un luogo, mentre io guardavo soltanto le cose contenute in un luogo, senza trovarvi un luogo ove posare. Tali cose non mi accoglievano in modo che potessi dire: “Mi basta”, e: “Qui sto bene”; e neppure mi lasciavano libero in modo che potessi tornare dove sarei stato bastantemente bene. Ero sì al di sopra delle cose, ma al di sotto di te, mia vera gioia se mi assoggettavo a te, come avevi assoggettato a me le creature che hai fatto sotto di me. Questo sarebbe stato l’equilibrio perfetto e il centro della mia salvezza: sarei rimasto secondo la tua immagine e insieme, servendo te, avrei comandato il mio corpo. Ma per la mia superbia mi sollevavo contro di te, mi lanciavo contro il mio Signore dietro lo scudo della mia dura cervice. Quindi anche le creature infime mi montarono sopra, opprimendomi senza lasciare da nessuna parte sollievo e respiro. Da sé mi venivano incontro a caterve, in masse compatte da ogni dove, se guardavo attorno; se mi concentravo, immagini di corpi mi sbarravano da sé la via del ritorno, quasi dicendo: “Dove vai, essere indegno e sordido?”. Erano tutte germinazioni della mia ferita. Hai umiliato il superbo come un ferito ; il mio tumore mi separava da te, le mie gote troppo gonfiate mi ostruivano gli occhi.

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