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Ormai la mia adolescenza sciagurata e nefanda era morta, e mi avviavo verso la maturità. Però, quanto più crescevo nell’età della vita, tanto più scadevo nella fatuità del pensiero. Non riuscivo a pensare una sostanza diversa da quella che si vede abitualmente con gli occhi. Da quando avevo cominciato a udire qualcosa della sapienza, non t’immaginavo più, o Dio, sotto l’aspetto di corpo umano e mi rallegravo, per la ripugnanza sempre provata verso questa concezione, di aver scoperto questa verità entro la fede della nostra madre spirituale, la tua Chiesa cattolica. Non trovavo però un’altra forma, con cui pensarti. Mi sforzavo di pensarti, io, un uomo, e quale uomo, te, il sommo e il solo e il vero Dio ; ti credevo con tutta l’anima incorruttibile, inviolabile, immutabile; pur ignorandone la causa e il modo, riconoscevo chiaramente e sicuramente l’inferiorità di una cosa corruttibile rispetto ad una incorruttibile; ponevo senza esitare una cosa inviolabile al di sopra di una violabile, e ritenevo le immutabili superiori alle mutabili; il mio cuore strepitava violentemente contro tutte le mie vane fantasie, io cercavo di allontanare col suo solo impeto dallo sguardo della mia mente la turba delle immonde immagini che le svolazzavano attorno. Ma, appena scacciata, eccola di nuovo in un batter d’occhio avventarsi compatta contro il mio sguardo e offuscarlo. Così, sebbene non in forma di corpo umano, ero tuttavia costretto a pensarti come un che di corporeo esteso nello spazio, incluso nel mondo o anche diffuso per lo spazio infinito oltre il mondo, esso pure incorruttibile e inviolabile e immutabile, cosicché lo anteponevo al corruttibile e violabile e mutabile. Ciò perché, se non attribuivo a una cosa l’estensione in uno di tali spazi, essa per me era nulla, letteralmente nulla e non un semplice vuoto, quale si ottiene togliendo da un certo luogo un certo corpo, che rimane, il luogo, vuoto di qualsiasi corpo terrestre o acqueo o aereo o celeste, ma pure sussiste un luogo vuoto, quasi un nulla provvisto di spazio.

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