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Alipio mi sconsigliava, per la verità, di prendere moglie: se lo avessi fatto, mi ripeteva su tutti i toni, non avremmo potuto assolutamente vivere assieme e indisturbati, nel culto della sapienza, come da tempo desideravamo. Personalmente egli osservava fin da allora una castità assoluta, e questa condotta era tanto più ammirevole, in quanto nei primi anni della sua adolescenza aveva sperimentato il piacere della carne. Però non vi era rimasto invischiato: ne aveva avuto piuttosto rimorso e disprezzo, e da allora viveva ormai in una continenza assoluta. Io gli opponevo l’esempio di quanti, coniugati, avevano coltivato gli studi, guadagnato meriti presso Dio e conservato fedeltà d’affetti verso gli amici. Senonché per mio conto ero lontano da tanta magnanimità. Avvinto alla mia carne ammorbata, ne trascinavo la catena con un godimento mortale, timoroso che si sciogliesse e respingendo, quasi rimescolasse la piaga, la mano liberatrice dei buoni consigli. Ma c’era di più: per mia bocca il serpente parlava allo stesso Alipio e lo accalappiava, disseminando sulla sua strada per mezzo della mia lingua dolci lacci, ove impigliare i suoi onesti e liberi piedi.

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