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Gioivo pure che la lettura dell’antica Legge e dei Profeti mi fosse proposta con una visuale diversa dalla precedente, la quale me li faceva apparire assurdi, mentre rimproveravo ai tuoi santi una concezione che non avevano; e mi rallegravo di sentir ripetere da Ambrogio nei suoi sermoni davanti al popolo come una norma che raccomandava caldamente: “La lettera uccide, lo spirito invece vivifica”. Così quando, scostando il velo mistico, scopriva il senso spirituale di passi che alla lettera sembravano insegnare un errore, le sue parole non mi spiacevano, benché ignorassi ancora se erano veritiere. Trattenevo il mio cuore dall’assentirvi minimamente, per timore del precipizio, e il pencolare a quel modo era una morte peggiore. Che pretesa la mia, di raggiungere su cose che non vedevo la stessa certezza con cui ero certo che sette più tre fa dieci! Non così pazzo da ritenere che nemmeno quest’ultima verità si può comprendere, volevo però comprendere allo stesso modo anche le altre verità, sia le corporee non sottoposte ai miei sensi, sia le spirituali, per me pensabili esclusivamente sotto una forma corporea. Potevo guarire con la fede, cosicché l’occhio della mia mente si fissasse più puro sulla tua verità permanente e indefettibile; ma, come accade di solito, che dopo aver incontrato un medico cattivo si ha paura di affidarsi anche al buono, così la mia anima ammalata e risanabile soltanto dalla fede respingeva la guarigione per timore di una fede sbagliata, resistendo alle tue mani, che confezionarono la medicina della fede e la sparsero sulle malattie dell’universo intero, dotandola di così grande potere.

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