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Si commettono spesso ingiustizie anche per una certa tendenza al cavillo, cioè per una troppo sottile, ma in realtà maliziosa, interpretazione del diritto.  Di qui il comune e ormai trito proverbio:  ‘somma giustizia, somma ingiustizia’.

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 A questo riguardo, si commettono molti errori anche nella vita pubblica; come, per esempio, quel tale che, conclusa col nemico una tregua di trenta giorni, andava di notte a saccheggiar le campagne, col pretesto che il patto parlava di giorni e non di notti.

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Dunque non si debbono mantenere quelle promesse che sono dannose alle persone a cui son fatte;   se quelle promesse recano maggior danno a chi le ha fatte che vantaggio a chi le ha ricevute, non è contrario al dovere anteporre il più al meno.

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Ma si danno spesso circostanze in cui, quelle azioni che sembrano più degne di un uomo giusto, di quello, cioè, che chiamiamo galantuomo, si mutano nel loro contrario, come, per esempio, il restituire un deposito (anche a un pazzo furioso?), o il mantenere una promessa.

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E così, il trasgredire e il non osservare le leggi della sincerità e della lealtà, diventa talvolta cosa giusta.  Conviene, infatti, riportarsi sempre a quelle norme fondamentali della giustizia che ho posto im principio: primo, non far male a nessuno; poi, servire alla utilità comune.  Mutano col tempo le circostanze?  Muta di pari passo il dovere e non è sempre...

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Di quei tre desideri , come si narra,  gliene restava da chiedere uno, il terzo, ed ecco che, accecato dall’ira, chiese la morte d’Ippolito: poichè il desiderio era stato esaudito, egli piombò nei più atroci dolori.

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Proprio per tale motivo i seguaci di Platone ritengono che i filosofi non debbano neppure accostarsi alla vita pubblica, se non costretti.  Molto meglio sarebbe, invece, che vi si accostassero spontaneamente; perché anche un’azione retta non è giusta se non è spontanea.

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Vi sono anche di quelli che, o per desiderio di ben custodire i propri beni, o per una certa avversione verso gli uomini, dichiarano di attendere soltanto ai loro affari, senza credere perciò di far torto ad alcuno.