trit_Confessiones_ VIII336_256

Ma la sua voce era ormai debolissima. Dalla parte ove avevo rivolto il viso, pur temendo a passarvi, mi si svelava la casta maestà della Continenza, limpida, sorridente senza lascivia, invitante con verecondia a raggiungerla senza esitare, protese le pie mani verso di me per ricevermi e stringermi, ricolme di una frotta di buoni esempi: fanciulli e fanciulle in gran numero, moltitudini di giovani e gente d’ogni età, e vedove gravi e vergini canute. E in tutte queste anime la continenza, dico, non era affatto sterile, bensì madre feconda di figli: i gaudi ottenuti dallo sposo, da te, Signore. Con un sorriso sulle labbra, che era di derisione e incoraggiamento insieme, sembrava dire: “Non potrai fare anche tu ciò che fecero questi giovani, queste donne? E gli uni e le altre ne hanno il potere in se medesimi o nel Signore Dio loro? Il Signore Dio loro mi diede ad essi. Perché ti reggi, e non ti reggi, su di te? Gèttati in lui senza timore. Non si tirerà indietro per farti cadere. Gèttati tranquillo, egli ti accoglierà e ti guarirà”. Io arrossivo troppo, udendo ancora i sussurri delle frivolezze; ero sospeso nell’esitazione, mentre la Continenza riprendeva, quasi, a parlare: “Chiudi le orecchie al richiamo della tua carne immonda sulla terra per mortificarla. Le voluttà che ti descrive sono difformi dalla legge del Signore Dio tuo “. Questa disputa avveniva nel mio cuore, era di me stesso contro me stesso solo. Alipio, immobile al mio fianco, attendeva in silenzio l’esito della mia insolita agitazione.

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