trit_Confessiones_ VII287_298
Mi sforzavo di vedere ciò che udivo sulla libera determinazione della volontà come causa del male che facciamo, e l’equità del tuo giudizio come causa di quello che subiamo, ma non riuscivo a scorgerla chiaramente. Tentavo di spingere lo sguardo della mia mente fuori dall’abisso, ma vi ricadevo di nuovo; ripetevo i tentativi, ma ricadevo di nuovo e di nuovo. Una cosa mi sollevava verso la tua luce: la consapevolezza di possedere una volontà non meno di una vita. In ogni atto di consenso o rifiuto ero certissimo di essere io, non un altro, a consentire e rifiutare; e di trovarmi in quello stato a causa del mio peccato, lo capivo sempre meglio. Invece, degli atti che compivo mio malgrado mi riconoscevo vittima piuttosto che attore e li giudicavo non già una colpa, bensì una pena inflittami da te giustamente, non esitavo adammetterlo considerando la tua giustizia. Ma a questo punto mi chiedevo: “Chi mi ha creato? Il mio Dio, vero? che non è soltanto buono, ma la bontà in persona. Da chi mi viene dunque il consenso che dò al male e il rifiuto che oppongo al bene? Accade così per farmi scontare giusti castighi? Ma chi ha piantato e innestato in me questo, virgulto d’infelicità, se sono integralmente opera del mio dolcissimo Dio? E se fossi creatura del diavolo, donde viene a sua volta il diavolo? Se anch’egli diventò diavolo, da angelo buono che era, per un atto di volontà perversa, questa volontà maligna che doveva renderlo diavolo donde entrò anche in lui, fatto integralmente angelo da un creatore buono? “. Queste riflessioni tornavano a deprimermi, a soffocarmi, ma non riuscivano a trascinarmi fino al baratro di quell’errore ove nessuno ti confessa, preferendo assoggettare te al male, che crederne l’uomo capace.