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Ma la lezione doveva finire qui. Tu, Signore, venisti immediatamente in soccorso dell’innocenza, di cui eri l’unico testimone. Mentre Alipio veniva condotto in prigione o al supplizio, s’imbatte nel corteo un architetto, soprintendente agli edifici pubblici. Le guardie si rallegrarono di aver incontrato proprio lui, che era solito sospettarle dei furti accaduti nel foro: ora finalmente avrebbe riconosciuto chi era l’autore. Senonché l’architetto aveva visto sovente Alipio in casa di un certo senatore, che abitualmente andava a ossequiare; e appena lo ebbe riconosciuto, lo prese per mano, lo trasse in disparte dalla folla e gli chiese il motivo di un guaio così grosso. Udito il racconto dell’accaduto, ordinò agli astanti, che tumultuavano e rumoreggiavano minacciosamente, di seguirlo. Giunsero così all’abitazione del giovane delinquente. Sulla porta stava uno schiavo così tenerello, da poter rivelare facilmente tutto il caso senza sospettare che ne venisse del danno al padrone. Infatti lo aveva accompagnato nella piazza. Anche Alipio lo riconobbe e ne avvertì l’architetto. Questi mostrò al fanciullo la scure, domandandogli di chi era. “È nostra”, rispose immediatamente il fanciullo. Più tardi, interrogato, rivelò il resto. Così l’accusa ricadde su quella casa, con grande smacco della folla, che aveva già incominciato il suo trionfo su Alipio. Il futuro dispensatore della tua parola e giudice di molte cause nella tua Chiesa ne uscì più esperto e più agguerrito.

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