14. 22. Ma dirò di più: se asserisco che quattro sono i turbamenti dello spirito: desiderio, gioia, timore, tristezza, attingo alla memoria, come tutte le discussioni che potrò impostare su di essi, suddividendoli ognuno in specie proprie del loro genere e dandone le definizioni. Tutto ciò che ne dico, lo trovo e lo traggo dalla memoria. Eppure all’atto di rievocarli col ricordo, non mi sento turbare da nessuno di quei turbamenti; ed anche prima che li richiamassi e discutessi si trovavano nella mia memoria, altrimenti non potevano essere attinti dal ricordo. Forse avviene come del cibo, che riesce dal ventre mediante la ruminazione: così le impressioni riescono dalla memoria mediante il ricordo. Ma perché non si percepiscono nella bocca del pensiero, mentre se ne discute e quindi si ricordano, la dolcezza della letizia o l’amarezza della tristezza? Sarebbe qui la differenza, visto che la somiglianza delle due operazioni non è totale? Nessuno infatti parlerebbe volentieri di queste cose, se, ogni qual volta nominiamo la tristezza o il timore, inevitabilmente li provassimo. Eppure non potremmo parlarne, se non ritrovassimo nella nostra memoria, oltre ai suoni delle parole, secondo le immagini che vi furono impresse dai sensi del corpo, anche le notizie delle cose che esprimono e che non ricevemmo per nessuna porta della carne. Lo spirito medesimo le sentì attraverso l’esperienza delle sue affezioni e le affidò alla memoria, oppure la memoria le trattenne di sua iniziativa senza che le fossero affidate da altri.

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